Scade il 15 febbraio 2024 ore 14 il Bando per il Servizio Civile presso Misericordia Impruneta

La Misericordia di Impruneta da anni partecipa con propri progetti ai vari bandi del Servizio Civile promosso dal Governo, oggi conosciuto come Servizio Civile Universale.

Sono molti, oltre 400, i ragazzi e le ragazze che in questi anni hanno svolto da noi un anno di servizio civile, ricevendo mensilmente un assegno per il lavoro svolto.

Il Servizio civile universale è la scelta volontaria di dedicare dodici mesi della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per le comunità e per il territorio.

Il Servizio civile universale rappresenta una importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese.

Se hai dai 18 ai 29 anni non perdere questa occasione unica, 𝗧𝗜 𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗡𝗢: amicizia, crescita e un luogo unico in cui poter fare un’esperienza di vita, sono garantiti!

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Finito il Servizio Civile 2021: un nostro ragazzo ha voluto lasciare questa sua testimonianza

Spesso a fine di un’esperienza sento, come penso molti oltre a me, il bisogno di tirare qualche somma; cosa essa è stata, cosa mi ha dato, cosa ha rappresentato per me, cosa credo abbia sedimentato nella mia persona.

L’esperienza del servizio civile alla Misericordia dell’Impruneta per me finisce come meglio non poteva: lasciandomi un velo di malinconia, perché onestamente questi mesi sono volati e sono volati specialmente gli ultimi, quelli in cui davvero ho iniziato a sentirmi parte di questa Associazione.
Avevo messo la domanda per il servizio civile così per caso, senza mai aver messo piede su un’ambulanza (nemmeno da trasportato per mia fortuna), senza
mai aver conosciuto minimamente quel genere di volontariato.
Non mi sono mai percepito come capace di vivere attivamente un ambito che andava inevitabilmente a intersecarsi con le sofferenze fisiche e non, di altre persone.
Poi un pomeriggio di fine luglio una chiamata di questo Claudio: “domattina devi venire all’Impruneta, inizi il servizio civile da noi”.
Ho accarezzato l’idea di sviare l’Impegno, di presentarmi giusto per le formalità che mi avrebbero consentito di cercare altro e altrove.
Spronato da chi avevo vicino, mi sono deciso invece a provare, anche solo vedere di cosa si trattava.
L’inizio è stato difficile, mi sono ritrovato in un contesto sociale non mio… Immaginatevi solo – io – in un posto pieno di madonnine, crocifissi, foto del papa e santi vari sui muri, in un posto dove non conoscevo nulla e nessuno.
Il sentirmi estraneo a quel mondo è durato poco, non tanto per una capacità di adattamento mia che difatti non credo me ne appartenga una particolarmente funzionante, quanto per la capacità di coinvolgermi delle persone che ho incontrato e via via conosciuto.
Non ho una buona memoria, ma di quelle prime settimane non ho ricordi particolarmente nitidi; il mio primo giorno di servizio civile è coinciso con anche l’inizio di quel periodo breve quanto distruttivo che è terminato con la morte della mia nonna. Un mese scarso, ma in cui davvero tutto sembrava aver perso senso, tutt’ora è un addio che ho tanta difficoltà a metabolizzare.
Se devo esser grato alla comunità della Misericordia dell’Impruneta di qualcosa in particolare, è proprio avermi consentito di vivere quel periodo in un clima che migliore non poteva essere.
Non ho trovato una sterile compassione, ma la sensibilità di persone capaci di ascoltare, comprendere e empatizzare col dolore che mi stava strozzando.
Mi rendo conto ora, suo malgrado, che quella parentesi di vita, oggi non mi abbia rafforzato; tutt’altro, mi sento semmai più sensibile al dolore altrui, più capace di capire la paura, l’insicurezza, la fragilità che mi trovo a leggere quotidianamente nello sguardo di chi mi trovo steso su quella barella, perché è lo stesso che mi sono ritrovato a incrociare in casa mia durante quei giorni.
Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi mesi e, appunto, da aver iniziato con impegni banali, mi sono ritrovato alla fine a essere sempre o quasi sull’ambulanza.
Non voglio allungare il brodo trasformando questa lettera in un diario di bordo, sento solo il bisogno di mettere nero su bianco quel che mi frulla in testa durante questi ultimi giorni.
Ho avuto modo di rendermi conto che non sono un tipo incline ad esaltarsi in una situazione particolarmente complessa o grave.
In questi mesi ho avuto fortuna da questo punto di vista e interventi particolarmente brutti me ne sono capitati pochi, però quei pochi non mi hanno lasciato una speranza di poterne affrontare ancora per avere il privilegio di essere indispensabile per la sopravvivenza di qualcuno insieme a chi è in squadra con me.
Tutt’altro: meno gente vedo star male e meglio mi sento anche io. Sarà una considerazione banale, ma neanche poi troppo se ci si sofferma a pensare quanti e quali possono essere gli stimoli che spingono una persona a fare del volontariato in un’associazione di questo tipo.
Mi porto dietro ricordi di molte persone montate su un doblò, su un’ambulanza o – banalmente – passate a farsi il vaccino a Grassina come un tampone all’Impruneta.
Anziani, gente di mezz’età, miei coetanei e anche bambini; persone che a volte avevano poco o nulla da dire, a volte tanto, a volte solo sentirsi meno soli in quel frangente o esorcizzare la paura condividendola.

Questi mesi mi hanno messo difronte a situazioni a volte anche difficili da gestire emotivamente: banale, banalissimo, mi capitò a febbraio di dover accompagnare una signora assolutamente consapevole di cosa stava succedendo, in un hospice.Ancora ho da decidere come sarebbe stato giusto congedarsi: un arrivederci avrebbe avuto il sapore di una presa per i fondelli, un semplice buona fortuna?

Andava a morire mica a giocare una schedina, addio… ma come si fa?

Non aver saputo cosa dire in quella occasione ancora mi crea disagio a ripensarci.
Si può alleviare il senso di impotenza davanti alla sofferenza imparando qualche manovra salva vita, come agire tempestivamente su un malore o un’incidente; ma quando il male, il dolore, sfugge alle maglie dei protocolli e delle possibilità d’agire che ha un soccorritore, lo sconforto spesso è tanto e parecchio difficile da gestire.
Gestire lo sconforto, si impara a farlo a forza di respirarlo e forse l’unico sistema efficace è condividerlo, e su questo voglio tornare: se sono riuscito in questi mesi a cimentarmi in qualcosa di così lontano da me, dal mio modo di percepirmi efficacemente utile al prossimo; è stato grazie alle persone che ho avuto intorno e che sono progressivamente riuscite a farmi sentire a casa anche in mezzo a quelle ambulanze e quelle madonnine sui muri.
La speranza iniziale era di riuscire via via a vivere con più distacco le situazioni nel loro accumularsi, invece il disagio, lo sconforto, il degrado; si finisce per carpirli prima e comprenderli più profondamente. Mi son ritrovato in breve ad aver sviluppato un’empatia che non pensavo affatto fosse nelle mie corde.
Un pensiero speciale bisogna che lo rivolga a quei ragazzi che con me hanno fatto questa esperienza, i quali non ci hanno messo niente a farmi sentire parte di un gruppo in cui sono entrato con mesi di ritardo.
Spero che l’amicizia che è nata in questi mesi non si sfilacci. Abbiamo condiviso momenti di allegria, alcuni magari meno leggeri di altri, ma arrivando comunque a questo, dei saluti, con la percezione che perdersi di vista e allontanarsi definitivamente anche da questo ambiente che ci ha fatti conoscere, sarebbe ingiusto.
Non voglio passare in rassegna chissà quanti nomi per il mero gusto di menzionare più persone possibile; ho avuto modo di simpatizzare con qualcuno più che con qualcun altro, questo è evidente. Le alchimie che si sono create in questi mesi sono molte e diverse, però al dilà dell’affiatamento coi singoli, credo appunto che tutto sia sintetizzabile nell’affermare che grazie a queste persone, ho un posto in più dove mi sento “nel mio”.
Scanso agli equivoci: non è una lettera di addio, non voglio scrivere elogi a nessuno, non ce n’è bisogno; la forza dei legami non si esprime sulle tastiere, ma nei gesti quotidiani e il più eloquente che penso di poter fare, appunto, è continuare a mettermi quella divisa gialla e celeste puffo, farmi la salita di San Gersolè e tenere viva quella serie di rapporti che in questi mesi ho avuto il privilegio di coltivare svolgendo le varie attività che ho avuto modo di fare.
Probabilmente ho scritto fin troppo, bastava un “grazie a tutti, tranquilli continuo a esser disponibile per continuare a fare servizio anche se mi scade il contratto del servizio incivile”, però un qualcosa di scritto che restasse a testimonianza di questa bellissima esperienza che ho vissuto, volevo farlo restare.

 

E quindi si, in definitiva grazie a tutti voi, misericordiosi dell’Impruneta che mi avete fatto sentire a casa in questi mesi, che mi avete fatto sentire parte di un qualcosa che non pensavo riuscisse a coinvolgermi così intensamente e che e che evidentemente non ho alcuna intenzione di lasciare di qui a qualche ora.

Antonio Matteini

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